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  1. BONSOIR PARIS!
“Parigi è la città in cui amo vivere. A volte penso che questo sia perché è l’unica città al mondo dove basta fare un passo fuori da una stazione ferroviaria, la Gare d’Orsay, e vedere, contemporaneamente, i principali incantesimi: la Senna con i suoi ponti e le bancarelle, il Louvre, Notre Dame, i giardini delle Tuileries, Place de la Concorde e l’inizio degli Champs Elysées. Insomma quasi tutto, tranne i Giardini di Lussemburgo e il Palazzo Reale. Ma quale altra città offre così tanto quando si scende da un treno?”

Aspettavo di tornare da un po’, ma avevo bisogno di mettere da parte smania e fretta. La conosco a memoria, so esattamente tutto quello che da Lei vorrei ma nonostante questo mi pianto, perso nella confusione, ogni volta che provo a immaginare da dove cominciare.
Non voglio e non posso sbagliare, ci porto Federica, quindi mentre l’aereo si prepara all’atterraggio, con a sinistra la sagoma delicata della Dame de Fer, quando finalmente l’amore come raggio di sole spacca le nuvole della mia confusione, penso che a partire dal cuore non si sbaglia mai: Place de la Concorde!
L’uscita dalla scalinata della metro è poesia. Davanti, intorno, ovunque è bellezza. Rue de Rivoli, l’obelisco di Luxor, gli Champs Elysée e in fondo, appena prima del sole che tramonta, la Tour Eiffel.
Qui già cadono le foglie; la sensazione di bellezza percepita è pari a quella del sorriso della persona che si ama, solo che qui, quel sorriso, non è un meraviglioso dettaglio in mezzo al resto, è il tutto.
Scegliamo di andare incontro alla Torre scendendo lungo il fiume. Un ragazzo fotografa una sposa, sopra i battelli qualche coppietta mangia, la Senna scorre, e con lei scorrono via tutte le mie attese di ritorno durate quasi cinque anni.

BONSOIR PARIS! *

Calato il sole risaliamo gli Champs Elysee andando verso l’Arco di Trionfo. LE – LUCI – DI – PARIGI – DI – NOTTE- TOLGONO IL FIATO! File di lampioni color arancio che illuminano i viali, e le cose, e le persone, mentre una leggerissima nebbiolina autunnale, atmosfera pura, li avvolge. È semplice riuscire a vederci le sagome in soprabito e borsalino dei tantissimi artisti che per queste strade hanno passeggiato dato che, anche se uno volesse, sarebbe impossibile fermare la fantasia in una città che sembra illuminata da candele.  Noi camminiamo con Scott e Zelda Fitzgerald.
Mentre camminiamo mi viene d’esser felice perché a casa, quando apro il cassetto della cucina, dentro ci trovo i cucchiaini. So benissimo che rendersi conto di avere dei cucchiaini può sembrare sciocco, ma averli è meraviglioso. Io e lei, Noi, ci amiamo talmente tanto da decidere di prendere una casa, metterci dentro dei mobili e in uno dei loro cassetti metterci dei cucchiaini. Casa è piena. Tutto è pieno. Può sembrare scontato, ma non lo è. Se non ci fossero stati casa non sarebbe stata piena, ma ci sono, e sono pieno anch’io.
Come scriveva Hemingway, di certe cose avviene che uno si trovi a poterne scrivere meglio in un posto, piuttosto che in un altro.
Già. Parigi.
Il mattino ci regala, oltre alla colazione a base di croissant e pain au chocolat in un caffè sotto l’albergo, anche un giro tra gli Champ de Mars e una meravigliosa passeggiata sotto la pioggia tra le vie di Montmartre. In molti discutono sul fatto che Parigi sia più bella di giorno o di notte, ma per me, giorno o notte che sia, Parigi è più bella sotto la pioggia. Trasuda magia, ed è talmente bella che per sentirti a tuo agio devi esser bello anche tu.
Non esiste, non esiste, NON ESISTE città al mondo come Parigi! In autunno poi… I gialli, i rossi, le foglie. Le castagne! E non è un caso che uomini come Picasso, Hemingway, Monet, Modigliani, Fitzgerald, Dali e infiniti altri abbiano scelto di vivere qui, come non è un caso che qui siano nate praticamente tutte le rivoluzioni che hanno formato la società contemporanea.
Nutre l’anima. Opera d’arte viva che si muove al suono di jazz. Si sente: balla l’aria, ballano le luci. Balla tutto, noi compresi.
Meraviglia come poche. Che bella la vita!
Parigi

Cafè – brasserie Le St. Andre, Place St. Michel.

Non riesco a spostare il pensiero dal particolare rapporto che qui hanno con la bellezza. È una città che ha in sé chiare note di “violenza”, eppure è piena di delicata bellezza. Ad esempio, qui in Place St. Michel ci sono molti caffè, alcuni tra l’altro frequentati all’inizio dello scorso secolo dagli artisti della generazione perduta, TUTTI MERAVIGLIOSI.

Tutti talmente belli da costringerci, per riuscire a scegliere dove sederci, ad una ripetuta passeggiata circolare.
L’idea del bar con le mura grezze, il pavimento in marmo e con sedie e tavoli in plastica qui proprio non esiste.
È elegante, tutto.
Dai caffè, alle strade, ai parchi, ai tetti, fino ai teatri. Tutto, curato si, ma soprattutto scelto, con una devozione alla bellezza incredibile, quasi religiosa.
Dev’essere per questo che cosi tanti maestri, nei secoli, hanno scelto di viverci: l’attenzione alla bellezza degli abitanti. E allo stesso modo, questa incredibile attenzione, dev’essere per forza stata trasmessa agli abitanti dai geni che qui sono passati. Si sono cercati e spinti a vicenda, si sono capiti. Per questo, ora, sono cosa unica.
La sera la passiamo tra Notre Dame e la Sorbone, cenando nel quartiere Latino e passeggiando, mano per mano, lungo la Senna.
La bellezza tra la quale scorre non è descrivibile.
Giuro ci provo, ma non ne sono in grado. Le sue rive sono patrimonio mondiale dell’umanità, eppure sarebbero “solo” cordoli in cemento.
Le luci, i ponti, l’aria. Parigi.
Prendete un fiume che scorre in una città costruita con chiara devozione alla bellezza e illuminata da candele e buttateci su cascate di magia, a non finire. Le rive della Senna sono protette dall’Unesco perché camminarci è fare l’amore!
parigi
Nuova mattina, solito caffè: tavolini in legno, sedie in pelle e velluto rosso,ad isolarci dal fuori solo vetro.
Fa effetto Parigi il lunedì. Le persone corrono. Scorrono. Si, scorrono, come fossero fiumi, ma indirizzati da rotaie che, di tanto in tanto, si scontrano mischiandosi per poi riuscire perfettamente uguali e ordinati dall’altra parte. Fa ancora più effetto vederlo da dentro un caffè fatto di vetro. Ti sembra di farne parte, anche se ne resti separato.
Quello che adoro di questa città è il modo in cui sa catturarti. Leggero, fine. Ti invita a scrivere proprio perché non ti ruba parole. Non serve pensare, basta raccontare. Le piace farsi guardare, e in mezzo alla settimana, quando prende vita, è ancora più bella.
Ci tuffiamo nella metro e il ritmo, qui sotto, è ancora più serrato.
Ma quanta gente c’è?!
Sembra un formicaio strapieno di formiche laboriose nella stagione in cui c’è da procurarsi le provviste per l’inverno. Sembrerebbero non riuscire neanche a guardarsi, ma cosi non è, dato che un ragazzo che saliva le scale a due a due è tornato indietro perché si è accorto di una signora che faticosamente cercava di portar su il suo bagaglio. La cosa simpatica è che lo ha preso, lo ha tirato su ed è scappato via lasciandolo li, senza aspettare che salisse anche la signora. Civili si, ma con una certa fretta. Sorrido.
Saliti sul treno tutto sembra immobilizzarsi. La gente legge, guarda il telefono, quasi nessuno parla. Il vento che entra dai finestrini gira le pagine di un giornale finito a terra; Federica mi si poggia sulle gambe.

Montparnasse

Passeggiamo tracciando Montparnasse finché da lontano, nascosta nel suo giardino, la vedo: la Closerie des Lilas. Entriamo.
La pace.
Fremo, quasi tremo nel corpo, certamente tremo nell’anima. Tre parole: QUI HEMINGWAY SCRIVEVA!
“Bonjour madame. Bonjour monsieur.” Io il mio solito tea alla menta marocchina.
Dentro sono in subbuglio, ma intorno c’è quel silenzio giusto, moderato, accompagnato dal leggero bisbiglio di poche voci e che si lascia vincere solo dal suono che fanno, quando appoggiati al piattino in porcellana, le tazze e i cucchiaini.
Un signore in giacca, sulla sessantina, con le gambe accavallate legge il giornale mentre fuma. Sul suo tavolo un calice di vino rosso, l’accendino nero, una piccola ciotola di olive verdi e il suo gomito.
La giacca è a righe bianche e grigie e dai pantaloni in cotone nero si vedono, neri anch’essi, i corti calzini. Dentro due ragazzi mangiano. Lui parla, piano, e gesticola molto. Lei lo guarda, immobile. Dietro di noi due ragazze asiatiche si scattano foto col cellulare.
Il traffico fuori, sul boulevard de Montparnasse, scorre; le foglie, gialle, cadono; ma cosa ancor più bella noi prendiamo un tea. Noi, qui, oggi, ci siamo!
Parigi
Non mi sono voluto portare l’agendina e ora non faccio altro che infilare e sfilare fogliettini pieni di appunti dal taschino della giacca.
Usciti dal Lilas decidiamo di tornare a Place St. Michel passeggiando. E passeggiare da Montparnasse a St. Michel vuol dire, quasi per forza, Jardin du Luxembourg. Bellissimi, davvero, bellissimi. Ma non è quello che più colpisce.

Jardin du Luxembourg

Il parco è disseminato di seggioline di ferro che le persone spostano qui e la, ora per mangiare, ora per chiacchierare, ora per studiare o per godersi verde e sole.
Mi giro verso Federica facendogli notare che si la pulizia e la cura, ma soprattutto che cosa tanto semplice quanto incredibile è il fornire i parchi di sedie che le persone possono usare a loro piacimento e quanto poco costerebbe a chi gestisce i nostri pensarlo e realizzarlo.
La sua risposta è una rasoiata:  “se mettessero sedie libere nei nostri parchi il giorno dopo sarebbero tutte nelle case di qualcuno.”
Sembra qualunquista, ma oggettivamente calza. In effetti in molte cose divergono da noi… Ieri l’altro, mentre entravamo nella metro, al signore davanti a me si è bloccato, rimanendo aperto, il tornello di dove si timbrano i biglietti e tutti, TUTTI, quelli che sono passati dopo lo hanno timbrato lo stesso.
Comunque! E non si tratta di punizioni o non punizioni, perché ad esempio poco dopo mi è capitato di vedere un ragazzo che per non pagare il biglietto la barriera l’ha scavalcata arrampicandosi. E non è che nessuno gli sia corso dietro con la cavalleria per pestarlo o multarlo.
Quindi, la stragrande maggioranza, paga il biglietto perché è giusto pagare il biglietto, non sporca e non spacca perché ha la percezione chiara che i beni comuni sono roba anche sua e non ruba le sedie dai parchi perché non si ruba. Punto.
Non c’è nessun “loro sono meglio perché le regole”. Non scelgono di fare o non fare una cosa perché in quel momento c’è o non c’è un poliziotto che guarda, non hanno bisogno della balia e delle punizioni da asilo, hanno semplicemente una coscienza civica che, nel mondo normale, appartiene agli adulti. Loro “sono meglio” perché sono civili.
 Quello che qui più colpisce, appunto, non è la bellezza del parco, la pulizia o l’idea del fornire sedie, ma la civiltà.
Comunque passeggiare per ‘sta città è davvero cinematografico. A qualsiasi ora.
La bellezza delle sedie e dei tavolini che hanno nei caffè è qualcosa di straordinario. E i tetti… Non credo esista a Parigi qualcosa di più meraviglioso dei tetti. Rotondi, romantici, del colore dell’ardesia, un grigio particolare che sembra avere in se una punta di indaco. Un vastissimo tappeto che riflette e si riflette nel cielo.
Il solito: è incredibile il rapporto che hanno con la bellezza. Approfondito. Come approfondito è, e non poteva essere altrimenti, il rapporto che hanno con quella che è la rappresentazione della bellezza filtrata dall’animo umano: l’arte.

Parigi è un grande, immenso quadro. Non è una città, è uno stato d’animo.

Più ci torno, più me ne convinco. Se sai guardare, se sai guardare bene, ma intendo guardare per davvero, finisce sempre alla stessa maniera: finisce che te ne innamori.
La lasciamo passeggiando per l’Île de la Cité, tra Notre Dame, il mercato dei fiori e le bancarelle di libri sulla rive gauche. Compriamo un quadro per casa e io compro anche un libro: les trois mousquetaires. Federica mentre sorride mi tiene la mano, ha in testa un basco alla francese, dal parapetto del Pont au Change scorgiamo, lungo la Senna, ragazzi che studiano mentre fanno un picnic.
Ho sempre la sensazione, ogni volta che ci vengo, che Parigi esista solo nel momento in cui io sono qui. E invece no, continua.
Di nuovo sull’aereo e di nuovo, alla partenza come all’arrivo – anche se stavolta con nessun raggio di sole a rompere le nuvole della mia confusione – i tetti, la Tour Eiffel e la meravigliosa Senna. È tanto bello, tutto, da far male al cuore.
Un giorno saprò per quale motivo ancora non ho deciso di venirci a vivere, per il momento la saluto, di nuovo, malinconico e affascinato. Mano a mano con Federica. Innamorato.
“Per Parigi non ci sarà mai fine e i ricordi di chi ci ha vissuto differiscono tutti gli uni dagli altri.  Si finiva sempre per tornarci, a Parigi, chiunque fossimo, comunque essa fosse cambiata o quali che fossero le difficoltà, o la facilità con la quale si poteva raggiungerla. Parigi ne valeva sempre la pena.
Se hai avuto la fortuna di viverci, dopo, ovunque tu passi il resto della tua vita, essa ti accompagna.”

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